Wilma Rudolph
«Il medico disse a mia madre che non avrei più camminato, ma mia madre non ci volle credere e mi disse che sarei guarita. Finii per credere a mia madre».








Nata nel 1940 a Saint Bethlehem, a nord-est di Clarksville negli Stati Uniti, da genitori afroamericani – un padre facchino nelle ferrovie e una madre cameriera presso una famiglia bianca, Wilma crebbe in un contesto di costante segregazione razziale.




Le Prime Difficoltà
Wilma aveva 29 fratelli e, essendo nata prematura, affrontò diverse malattie, tra cui morbillo, pertosse, scarlattina e una polmonite doppia che rischiò di toglierle la vita. All'età di quattro anni contrasse la poliomielite. Nella sua autobiografia, racconta:
Trovare un ospedale disposto a curare una bambina nera affetta da polio non era facilce in quegli anni. Il Meharry Hospital, dove lavorava un’équipe di medici afroamericani, rappresentava la sua unica speranza, situato a 50 miglia da Clarksville, nei pressi di Nashville.
Per due anni, grazie alla dedizione della madre e dei fratelli, Wilma viaggiò due volte a settimana sul retro di un Greyhound, negli unici posti disponibili agli afroamericani. Dopo 200 di quei lunghi viaggi, la bambina riuscì a camminare con un tutore in acciaio che sosteneva la sua gamba sinistra. La terapia prevedeva massaggi intensivi, e tutta la famiglia si impegnò ad impararli: quaranta braccia si prodigarono quotidianamente per alleviarle il dolore e aiutarla a riprendere a camminare. Dopo cinque anni e quattro sedute di massaggi al giorno, Wilma riuscì a sbarazzarsi del tutore. Due anni dopo, abbandonò la scarpa ortopedica e iniziò a sfidare i ragazzi del quartiere nel salto e nella corsa, entrando rapidamente nella squadra di basket e mostrando doti atletiche straordinarie.
La Carriera Atletica
Quando Ed Temple e Burt Grey fondarono una scuola di atletica, vennero al club di basket e scelsero subito Wilma Rudolph. In breve, quella ragazza che un tempo non poteva camminare si trasformò in una velocista imbattibile. Alle prove Olimpiche di Seattle, si guadagnò l'accesso ai Giochi di Melbourne del ’56, dove conquistò la medaglia di bronzo nella 4x400.
Tornata a scuola, Wilma mostrò ai compagni di classe la sua medaglia, raccontando:
«Se la passarono di mano in mano per vedere come fosse fatta, e quando tornò a me era piena di impronte. Iniziai a lucidarla, ma scoprii che il bronzo non brilla. Così decisi di aspettare quattro anni e puntare direttamente all’oro».
Nel suo primo anno da senior, rimase incinta di una bambina da Robert Eldridge, al quale fu vietato vedere né lei né la figlia dal severo suocero. Solo nel 1963, due anni dopo la morte del padre, Wilma poté sposare Robert
Le Gare e la Vittoria
Le numerose gare alle quali partecipò Wilma Rudolph rappresentarono una vera palestra di vita. Un giorno, in Texas, rimase scioccata perché l’autista dell’autobus che doveva portarla allo stadio si rifiutò di far salire a bordo il gruppo di atlete nere. Tuttavia, un conducente sostitutivo arrivò in tempo per scortarla verso il record mondiale di 22”9 nei 200 m. Un mese prima delle Olimpiadi, a Fort Worth, trionfò sia nei 100 che nei 200 m, avviandosi così verso Roma.
Gli spettatori dello Stadio Olimpico rimasero affascinati dalla grazia di Wilma Rudolph. La sua velocità si esprimeva attraverso passi rapidi ed eleganti. Il suo fisico snello e alto emanava una forza contagiosa. Dopo la sua prima vittoria, il pubblico si innamorò di lei. Il suo nome riecheggiò attraverso le radio e le televisioni di tutto il mondo. Gli italiani la soprannominarono la Gazzella Nera, per i francesi divenne la Perla Nera, mentre per gli inglesi era già conosciuta come il Tornado del Tennessee. Vinse con sorprendente facilità le medaglie nei 100 m e nei 200 m, e nei 4x100 superò l’avversaria, volando solitaria verso il traguardo.
L'Eredità di Wilma
Dopo il ritiro nel 1963, Wilma si dedicò all'insegnamento e alla Wilma Rudolph Foundation, che continua a supportare i bambini nel superare le difficoltà della vita. Il suo messaggio era chiaro:
«Credetemi, la ricompensa non è così grande
se non si è lottato duramente».
Nessun campione olimpico ha dovuto combattere di più per le proprie ricompense. Nel villaggio Olimpico, pochi erano riusciti a resistere al suo fascino.
Purtroppo, come era nata, anche la sua vita si concluse prematuramente. Il 12 novembre 1994, Wilma Rudolph ci lasciò all'età di soli 54 anni. Le mani che la abbracciarono nei suoi ultimi giorni furono molte più numerose di quelle dei suoi fratelli che le avevano massaggiato le gambe durante la malattia.
Con la sua scomparsa, l’atletica leggera ha perso uno dei suoi simboli più autentici, una figura che va oltre il mero risultato sportivo. La sua storia è un emblema delle Olimpiadi di Roma 1960, bella e impressionante.
Quindi, cari lettori, riflettete su questo: